LECTIO DIVINA SUL VANGELO domenicale - 11

 

25 dicembre 2015 – Natale del Signore

S. Messa della notte

Ciclo liturgico: anno C

 

Vi annunzio una grande gioia:

oggi vi è nato un Salvatore: Cristo Signore.

 

Luca 2,1-14   (Is 9,1-6; Sal 95; Tt 2,11-14)

 

O Dio, che hai illuminato questa santissima notte con lo splendore di Cristo, vera luce del mondo, concedi a noi, che sulla terra lo contempliamo nei suoi misteri, di partecipare alla sua gloria nel cielo.


 

 

  1. In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra.
  2. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria.
  3. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.
  4. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide.
  5. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
  6. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto.
  7. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
  8. C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge.
  9. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore,
  10. ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo:
  11. oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore.
  12. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
  13. E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
  14. «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

               

 

Spunti per la riflessione

 

Luce nelle tenebre

È bellissimo il Natale. Bello e intenso.

Bello perché smuove il bambino che è in noi.

Perché fa riaffiorare i ricordi d’infanzia.

È bellissimo il Natale: è la festa dei bambini e dei loro sogni, della loro innocenza, prima che essa venga travolta dagli affanni della vita e dalla consapevolezza del dolore.

È la festa del bambino che è ancora in noi, che osa sognare, che si lascia coinvolgere ed entusiasmare dalla famiglia radunata attorno al fuoco del caminetto o intorno al tavolo apparecchiato con la tovaglia delle feste e le candele colorate.

È bello anche se, una volta diventati adulti, le sofferenze della vita ci amareggiano e ci rendono più duri e disillusi, disincantati e, Dio non voglia, cinici. Ma, nonostante il fermo proposito di non lasciarci coinvolgere dal clima natalizio, può succedere che la nostra scorza si incrini appena un’immagine, un odore, un suono ci raggiungono e ci sprofondano nell’infanzia vissuta.

O desiderata.

Come se una chiave aprisse una porta spalancata su un mondo meraviglioso di felicità intensa e inattesa. Perciò è così bello il Natale. Ogni Natale. Nonostante tutto.

Ma

È terribile il Natale. Orrendo e straziante.

Perché il clima di famiglia e di armonia, di forti emozioni e di sentimenti positivi che richiama, per molte persone, è insopportabile. Insostenibile. Una tragica illusione, una chimera.

Un autentico strazio. Sanguinante.

Per quanti passano il Natale da soli in casa, senza festeggiare, o invitati all’ultimo momento da un lontano parente, per quanti non ricevono regali. Per chi ha sperimentato il lutto o la sofferenza. Per chi ha accanto una persona che non ama più, per chi aveva accanto a sé una persona che amava e che ora se n’è andata.

È un abisso il Natale, con tutte le immagini patinate che ci giungono dalla televisione e che sembrano dire una cosa sola: oggi tutti sono felici e spensierati, tranne te.

E, allora, speri solo che passi, che arrivi l’Epifania.

Cerchi di gestire l’ansia, perdi lucidità e tutti i ragionamenti che fai non servono a lenire il dolore. Come un brutto raffreddore dell’anima, aspetti solo che se ne vada, che si spengano le luminarie e si riportino in cantina addobbi e alberi. E speri di riprendere a lavorare, di tornare a scuola, di sentire finalmente sparire dalle labbra dei conoscenti l’augurio rituale.

Fra parentesi

Voglio mettere fra parentesi le mie emozioni. Voglio capire cosa è venuto a fare Dio nella Storia. Nella mia vita. Nella mia inutile vita. Voglio riscoprire tutta la stupenda pazzia di un Dio che diventa uomo. Per imparare ad essere uomo fino in fondo. Voglio riscoprire la leggerezza di Dio.

Perché Dio si è fatto uomo?

È la domanda che si è posto un famoso teologo medioevale, un monaco, sant’Anselmo di Aosta.

Ma è la domanda che vogliamo che emerga in questo nostro Natale.

Perché, ad essere onesti, dobbiamo ammettere che il Natale un po’ ci è stato rubato.

E, tragicamente, non abbiamo nemmeno sporto denuncia, non ci siamo mossi per cercare di recuperarlo. In fondo va bene così come è diventato: la festa della bontà più zuccherosa e banale, un collettivo e vago richiamo alla tenerezza che si dimentica il giorno dopo, l’apoteosi dei luoghi comuni sulla famiglia, sul volersi bene, sull’emozione natalizia…

Sì, Dio si è fatto uomo.

Visto che non riuscivamo ad avere un’idea corretta di Lui, come scrive il teologo san Tommaso d’Aquino. Nonostante i profeti. E le Scritture. E le meraviglie del cosmo. E la coscienza che, dalla nascita, si stupisce dell’esistente senza darsi una risposta.

Nonostante tutto eravamo zoppi e ciechi, incapaci di capire. Un passo avanti e dieci indietro.

Stupiti dal volto di Dio rivelato dai profeti biblici, salvo poi stravolgerlo e piegarlo ai nostri appetiti, alle nostre paure, alla menzogna.

Un Dio diventato idolo e fantoccio per giustificare le guerre e mascherare le ingiustizie.

Dio non ne poteva più di essere continuamente sfigurato.

Così ha deciso. È venuto per raccontarsi. Così che nessuno potesse più mistificare il suo vero volto.

O, almeno, quella era l’idea.

Luce e ombra

È che spaventa quel neonato. Irrita. Disturba.

Ci inquieta anche solo immaginare che Dio, davvero!, abbia deposto il suo abito di eternità per rivestire quello lacero e sporco dell’umanità. Se preso sul serio, il Natale ci mette in crisi.

Ci interroga.

Dio che si fa accessibile, incontrabile, neonato fragile e indifeso, demolisce i nostri infiniti pregiudizi su Dio.

Dio è lontano. Dio si disinteressa di noi. Dio è misterioso e cupo, lunatico e incomprensibile.

Dio vede e non interviene, lascia morire di fame i bambini.

Dio non ferma le guerre e i terroristi. Dio fa morire di cancro la giovane mamma e tiene in vita l’omicida spietato.

Un Dio pasticcione e inquietante. Anche quello dei cattolici che credono senza mai porsi una domanda, senza un fremito, senza un sussulto, senza una domanda. Credono come le pietre, non saldi, ma freddi e inanimati.

Cos’ha a che vedere, questo neonato che si allatta all’acerbo seno di un’adolescente, con l’orribile idea di Dio che portiamo nel cuore?

Eppure Dio è diventato uomo esattamente per cambiare la nostra vita. Per svelarci chi è lui. Perché vedendo lui, capiamo chi siamo noi. Chi sono io.

Impasto di fango plasmato ad immagine di Dio. E riempito d’anima.

Dio diventa uomo per salvarci dai peccati, come hanno scritto i padri della Chiesa latina.

Dio diventa uomo perché l’uomo diventi come Dio, come hanno scritto i padri della Chiesa d’Oriente.

Dio diventa uomo, aggiungo, perché, l’uomo, finalmente, impari a diventare uomo.

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L’Autore

 

Paolo Curtaz

 

Ultimogenito di tre fratelli, figlio di un imprenditore edile e di una casalinga, ha terminato gli studi di scuola superiore presso l’istituto tecnico per geometri di Aosta nel 1984, per poi entrare nel seminario vescovile di Aosta; ha approfondito i suoi studi in pastorale giovanile e catechistica presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma (1989/1990).

Ordinato sacerdote il 7 settembre 1990 da Ovidio Lari è stato nominato viceparroco di Courmayeur (1990/1993), di Saint Martin de Corlèans ad Aosta (1993/1997) e parroco di Valsavaranche, Rhêmes-Notre-Dame>, Rhêmes-Saint-Georges e Introd (1997/2007).

Nel 1995 è stato nominato direttore dell’Ufficio catechistico diocesano, in seguito ha curato il coordinamento della pastorale giovanile cittadina. Dal 1999 al 2007 è stato responsabile dell’Ufficio dei beni culturali ecclesiastici della diocesi di Aosta. Nel 2004, grazie ad un gruppo di amici di Torino, fonda il sito tiraccontolaparola.it che pubblica il commento al vangelo domenicale e le sue conferenze audio. Negli stessi anni conduce la trasmissione radiofonica quotidiana Prima di tutto per il circuito nazionale Inblu della CEI e collabora alla rivista mensile Parola e preghiera Edizioni Paoline, che propone un cammino quotidiano di preghiera per l’uomo contemporaneo.

Dopo un periodo di discernimento, nel 2007 chiede di lasciare il ministero sacerdotale per dedicarsi in altro modo all’evangelizzazione. Oggi è sposato con Luisella e ha un figlio di nome Jakob.

Nel 2009 consegue il baccellierato in teologia presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale di Milano con la tesi La figura del sacerdozio nell’epistolario di don Lorenzo Milani e nel 2011 la licenza in teologia pastorale presso l'Università Pontificia Salesiana di Roma, sezione di Torino, con la tesi Internet e il servizio della Parola di Dio. Analisi critica di alcune omelie presenti nei maggiori siti web cattolici italiani.

Insieme ad alcuni amici, fonda l’associazione culturale Zaccheo (2004) con cui organizza conferenze di esegesi spirituale e viaggi culturali in Terra Santa e in Europa.

Come giornalista pubblicista ha collaborato con alcune riviste cristiane (Il Nostro Tempo, Famiglia Cristiana, L’Eco di Terrasanta) e con siti di pastorale cattolica.

Nel 1999 è stato uno dei protagonisti della campagna pubblicitaria della CEI per l’8x1000 alla Chiesa cattolica. Come parroco di Introd ha accolto per diverse volte papa Giovanni Paolo II e papa Benedetto XVI nelle loro vacanze estive a Les Combes, villaggio di Introd.

 

Esegesi biblica

         

La nascita di Gesù (2, 1-40)

 

I vv. 1-7 narrano il censimento, il viaggio dei genitori e la nascita del “figlio primogenito”.

L’ “editto di Cesare Augusto” è un tentativo di Luca di collocare Gesù nella storia universale (lo farà con maggiore ampiezza in 3,1-2) e allo stesso tempo di mostrare che l’azione divina si serve di questo decreto di Cesare. Negli Atti, Dio si servirà ancora delle stesse leggi romane per condurre Paolo a Roma per annunciare il vangelo. Infine, e soprattutto, ciò offre un pretesto per il viaggio: un pretesto, poiché tali censimenti si fanno sempre nella località di residenza, non in quella di origine.

Luca conosce dalla tradizione (cfr. anche Mt. 2,1) che il bambino è nato a Betlemme, la città di Davide; questa località permette di ribadire una volta di più la discendenza davidica di Gesù (v. 4). Luca tuttavia non cita la profezia di Michea 5,1 (cfr. Mt. 2,6), ma è anche vero che le citazioni testuali sono assai rare in Lc 1-2.

In realtà la conclusione del viaggio non è Betlemme, bensì una mangiatoia dove il neonato sarà deposto “perché non c’era posto per loro nell’albergo”. Ora, quale luogo più significativo per dei pastori di una mangiatoia? Eccoci quindi orientati verso i pastori. A Luca interessa il fatto che i pastori godono di una cattiva reputazione in Palestina, dove sono spesso considerati ladri e disonesti. Coloro che occupano il gradino più basso della scala sociale sono i primi ad essere coinvolti dalla nascita di colui che ha per madre un’umile donna (1,48) ed è “inviato a portare ai poveri il lieto annunzio” (4,18). Il neonato è già colui che sarà accessibile ai peccatori e mangerà alla loro tavola (15,2).

La rivelazione propriamente detta (vv. 9-12) contiene molti elementi che ricordano i racconti dell’annuncio a Zaccaria e a Maria, solo l’obiezione umana non è qui presente. Un “angelo del Signore” sostituisce Gabriele. La nascita di Gesù è una buona notizia (letteralmente “vangelo”) apportatrice di “grande gioia”. Al neonato vengono dati tre titoli. “Oggi è nato per voi” poveri e gente modesta, “un Salvatore, che è il Messia Signore”. Tre titoli, tutti sgorgati dalla confessione della fede pasquale della Chiesa, i due ultimi in ambiente giudaico, il primo in ambiente soprattutto pagano per contrastare il culto imperiale che presentava Cesare come salvatore. Ai pastori  viene dunque rivelato l’annuncio (il kèrjgma) della Chiesa che predicheranno Pietro (At 2,36) e Paolo (At 13,35).

Il “segno” - presente qui come nelle due annunciazioni, ma non richiesto dai pastori -  è in forte contrasto con questi titoli cristologici. Infatti il “segno” che permetterà a coloro che lo cercano di trovare il “bambino avvolto in fasce”, è che giace in una mangiatoia e non in una culla situata in qualche palazzo reale. Il lettore può restare sorpreso dal fatto che il segno non risulta prodigioso. Mentre Israele poteva aspettarsi che la nascita del messia fosse accompagnata da segni straordinari (cfr. la stella che precede i magi in Mt. 2, 2-9), il segno qui fornito è appropriato a colui che sarà l’umile Messia sofferente dei poveri; esso si addice in modo tutto particolare ai pastori.

Si fa allora udire la lode di “una moltitudine dell’esercito celeste” (vv. 13-14) che viene ad aggiungersi all’angelo che ha proclamato il lieto annuncio; il breve inno che essa intona invita pastori e lettori a riconoscere la potenza di Dio che, nella nascita del figlio di Maria, procurerà la pace, cioè sicurezza, concordia e prosperità al popolo che è l’oggetto della benevolenza divina. Non si tratta della “buona volontà” dell’uomo ma del beneplacito di Dio. La frase: “Pace in terra agli uomini di buona volontà” non si riferisce alle buone disposizioni degli uomini ma alla predilezione di Dio. Dio non va pensato come uno che si compiace della bontà dell’uomo ma piuttosto come uno che infonde la bontà nell’uomo attraverso la sua divina elezione e misericordia.

Fino a questo momento i pastori sono stati passivi; cessano di esserlo nella scena seguente: essi vedono tutto ciò che era stato loro annunciato dall’angelo e trasmettono il suo messaggio, udendolo la gente si meraviglia, come si erano meravigliati i parenti di Zaccaria (1,63) e si meraviglieranno il padre e la madre di Gesù (2,33). Il v. 20 è ancora più preciso sui pastori: dopo la loro partenza essi prendono il posto degli angeli “glorificando e lodando Dio” (vv. 13-14).

 

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Note

 

Censimento:      Per gli Ebrei era un grave peccato il censimento, in quanto ledeva il diritto alla sovranità esclusiva di Dio sul suo popolo (2 Sam 24). La legislazione romana non esigeva il censimento nel paese d’origine. Era, invece, tradizione profondamente radicata nel giudaismo attenersi orgogliosamente alla città di origine della famiglia. Questo particolare permette a Luca di confermare la nascita di Gesù a Betlemme, la città di Davide di cui Giuseppe è discendente, secondo quanto aveva annunciato il profeta Michea (5,1). Il censimento riguardava solamente gli uomini. Non sappiamo perché Giuseppe abbia preso con sé Maria nel viaggio verso Betlemme (che da Nazaret dista quasi 150 km). L’imperatore romano Augusto, che resse l’impero dal 29 a.C. al 14 d.C., indisse tre censimenti. L’ultimo terminò nel 7 a.C., quando in Giudea regnava Erode il Grande, re vassallo di Roma.

È possibile che questo censimento sia stato esteso anche al territorio che Erode governava in nome di Roma. Probabilmente Luca allude a questo censimento, ma ciò che importa all’evangelista non è tanto l’esatta cronologia, quanto il collegare la storia della salvezza con la storia universale.

 

 

Primogenito:      Il termine “primogenito” non indica che Maria abbia avuto altri figli dopo la nascita di Gesù. Il primo figlio - anche se non ne fossero nati altri in seguito – era sempre chiamato primogenito, per designare i diritti e i doveri che lo riguardavano (vedi Es 13,12: “Riscatterai ogni primogenito dell’uomo tra i tuoi figli”; Es 34,19: “Ogni essere che nasce per primo nel seno materno è mio”).

 

 

Mangiatoia:       Il termine “mangiatoia” traduce il greco “phàtne”, che può significare anche stalla. La tradizione circa la “grotta” come luogo della nascita di Gesù risale al sec. II ed è riportata negli scritti di Giustino e nell’apocrifo “Protovangelo di Giacomo”. La leggenda (o la tradizione) dell’asino e del bue accanto alla greppia è stata suggerita dal testo di Isaia 1,3 (”Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone”) e da un’errata interpretazione del testo di Abacuc 3,2 (ma solo nella versione greca, che dice: “Ti manifesterai tra due animali”).

 

Albergo:            Il termine greco “katàljma”, tradotto qui con “albergo”, appare anche in Lc 22,11 dove indica la stanza addobbata al piano superiore della casa, preparata per la cena pasquale di Gesù e degli apostoli. Di per sé il termine indica il luogo dove si scioglievano le cavalcature e si depositavano i bagagli all’arrivo da un viaggio, o le merci. Si trattava quindi di un “deposito di carovane” per dare riposo e rifugio agli animali, con a fianco alcuni locali per le persone. Forse tutto questo era troppo per un villaggio come Betlemme, e allora il termine “katàljma” può significare la “stanza di soggiorno”, dove non c’era posto per Giuseppe e Maria, perché già occupata. Per questo essi devono adattarsi a un locale annesso, forse il ripostiglio/grotta dove venivano riposti gli utensili della campagna e della casa e dove trovavano pure posto gli animali domestici. Ancora oggi nei dintorni di Betlemme si trovano umili case che fanno corpo con una grotta naturale.

È interessante notare la differenza tra un certo agio che fa da sfondo alla nascita di Giovanni Battista e l’umiltà/povertà estreme che fanno da sfondo a quella di Gesù.